La bambina e il mare
Questa estate su Robinson, l’inserto culturale della repubblica è uscito un mio articolo per presentare piccolo manuale di navigazione.
È stato emozionante ricordare cosa mi ha spinta a scrivere questa storia. qui di seguito trovate l’articolo completo, per cho non è riuscito a leggerlo sulla rivista.
Partivamo all’alba, io ancora dormivo. Mio padre mi metteva in macchina in pigiama per non svegliarmi. I sedili in velluto mi facevano da nido, lui poi sistemava qualcosa di morbido che mi avvolgeva tiepido, io ricordo un piumino, ma immagino che non lo fosse visto che si partiva ad agosto.
Si viaggiava per tre giorni in carovana con degli amici di famiglia e i loro figli, e si facevano delle tappe per dormire lungo il viaggio, ma quando si arrivava restavamo per quasi un mese arroccati su una scogliera di rocce rosse a strapiombo sul mare.
Io aspettavo per un anno quel momento, in quel posto io potevo essere selvatica, sempre scalza e bruciata dal sole.
Mi è sempre piaciuto il mare, anche se ancora oggi la prima volta nella stagione in cui ci entro, il sale mi brucia la pelle lasciandomi rossa per delle ore. Da bambina pensavo fosse vivo, in fondo non avevo tutti i torti, anche se ritenevo che lo fosse più come una persona o come un animale. Il mare era per me un’entità sola, un individuo che racchiudeva tutto.
Quando dalla battigia entravo in acqua ci parlavo, lo salutavo, gli chiedevo il permesso. Riportavo in acqua una conchiglia o un’alga pensando che questo potesse bastare come obolo per lasciarmi entrare.
Ero convinta che dovessi portare un regalo per stare tra le sue braccia senza temere. E quando succedeva, e succedeva spesso, che al primo bagno della stagione una medusa mi raggiungeva con i suoi tentacoli, mi rimproveravo di non aver ringraziato abbastanza.
Avevo timore di ciò che poteva nascondere il blu profondo che si distendeva sotto le mie gambette bianche, nonostante nuotassi molto bene. Avevo timore del mare ma ne ero affascinata perché sapevo che l’acqua mi raccontava da dove venivo.
Nel mare smettevo di essere un pesce e restavo una bambina. Poi quel blu me lo portavo a casa nei pastelli, nelle matite e disegnavo. Questo lo
faccio ancora oggi. Spesso nuoto nelle acque cristalline dei miei ricordi per trovare l’ispirazione. Tornare a quelle estati felici dove si stava ancora tutti insieme circondati dalla natura arida e secca con le mani sempre sporche di sabbia e terra, a correre nella pineta che ci copriva le spalle per finire stanchi e satolli a guardare la luna con il cannocchiale prima di dormire. Mi immergo dove conservo le cose care, nuoto sempre più a fondo dove colleziono immagini e pensieri che, come pesci colorati, guizzano tra le mie mani. Poi lentamente torno a galla lasciandomi trasportare dalla corrente che gentilmente mi riporta dove sono. Ad instillarmi l’idea che il mare fosse un essere vivente, probabilmente fu la lettura de “Il vecchio e il mare” di Hemingway.
Era una vecchia edizione impolverata, non ricordo a chi appartenesse ma ricordo che me la lesse mio padre, probabilmente proprio in uno di quei viaggi. Ciò che mi impressionò di più fu la fusione dell’uomo con la natura e il profondo rispetto che il vecchio provava per quel Marlin che insegue e con cui lotta per giorni. Capii che l’uomo non stava combattendo solo contro il pesce, ma contro il mare tutto. Il vecchio lottava per la vita come faceva il pesce e il mare gli stava insegnando come fare.
Oggi capisco che questa intuizione avuta da bambina ha molto a che fare con qualcosa di più antico di me che si lega indissolubilmente alle credenze popolari o più anticamente ancora alla mitologia. Probabilmente se tornassimo a guardare al mare con l‘innocenza di un bambino, se lo vedessimo come un essere mitologico o come la rappresentazione stessa del divino, forse torneremo a ringraziare anziché depredare ciò che non è nostro, lasciando un’eredità migliore ai nostri figli.
Ora che sono grande resto affascinata da chi ha lottato contro il Marlin e si è lasciato insegnare dal mare la saggezza dei ritmi della natura che gli resta impressa nelle mani. Ora che sono grande capisco che tornare a quei ritmi insegna molto sulle cose, sulle relazioni e sulla vita.
Ora che sono grande lo saluto il mare, come se fosse un vecchio amico che mi aspetta ed è felice di vedermi. Mi conosce, perché sa di cosa ho paura. Gioca con me e mi ricorda che sono stata una bambina.
Tiene i miei segreti, perché ancora oggi gli racconto delle storie e tra gli spruzzi e i guizzi ricevo delle risposte su dove devo andare.
This summer in Robinson, the cultural insert of the republic, an article of mine was published to present a small manual of navigation. It was exciting to remember what prompted me to write this story. below you will find the complete article, for those who were not able to read it in the magazine.
We left at dawn, I was still asleep. My father would put me in the car in my pyjamas so I wouldn't wake up. We travelled for three days in a caravan with family friends and their children, and we made stops to sleep on the way, but when we arrived we stayed for almost a month perched on a cliff of red rocks overlooking the sea.
I waited for a year for that moment, in that place I could be wild, always barefoot and burnt by the sun. I have always liked the sea, even though even today the first time in the season when I enter it, the salt burns my skin, leaving me red for hours. As a child I thought it was alive, I had a point, although I thought of it more as a person or an animal. For me, the sea was a single entity, an individual that encompassed everything. When I entered the water from the shoreline I would talk to it, greet it, ask its permission. I would take a shell or seaweed back into the water thinking that this would be enough of an offering to let me in.
I was convinced that I had to bring a present to be in his arms without fear. And when it happened, and it happened often, that on the first swim of the season a jellyfish reached me with its tentacles, I reproached myself for not having given enough thanks.I was afraid of what the deep blue that stretched beneath my white legs might conceal, even though I swam very well. I was afraid of the sea but I was fascinated by it because I knew that the water told me where I came from. In the sea I stopped being a fish and remained a child. Then I took that blue home in crayons and pencils and drew. I still do this today. I often swim in the crystal clear waters of my memories to find inspiration. To go back to those happy summers where we were all still together surrounded by the dry, arid nature with our hands always dirty with sand and earth, running through the pine forest that covered our backs to end up tired and saturated looking at the moon through the telescope before going to sleep. I dive where I keep my cherished things, I swim deeper and deeper where I collect images and thoughts that, like colourful fish, dart into my hands. Then I slowly float back, letting myself be carried away by the current that gently brings me back to where I am. It was probably reading Hemingway's The Old Man and the Sea that instilled in me the idea that the sea was a living being.
It was a dusty old edition, I don't remember who it belonged to but I remember my father reading it to me, probably on one of those trips. What impressed me most was the fusion of man with nature and the deep respect the old man felt for that Marlin he chased and fought with for days. I realised that man was not just fighting the fish, but the whole sea. The old man was fighting for life as the fish did, and the sea was teaching him how.
Today I realise that this intuition I had as a child has a lot to do with something older than me that is inextricably linked to popular beliefs or even more anciently to mythology. Perhaps if we returned to looking at the sea with the innocence of a child, if we saw it as a mythological being or as the very representation of the divine, we would return to giving thanks instead of plundering what is not ours, leaving a better legacy to our children.
Now that I am grown up, I am fascinated by those who fought the Marlin and let the sea teach them the wisdom of nature's rhythms, which remains imprinted in their hands. Now that I am grown up, I understand that returning to those rhythms teaches a lot about things, relationships and life.
Now that I am grown up I greet the sea, as if it were an old friend waiting for me and happy to see me. He knows me, because he knows what I am afraid of. He plays with me and reminds me that I was a child. He keeps my secrets, because to this day I still tell him stories and between the splashing and the splashing I get answers about where I have to go.
Repubblica, Robinson, 13 agosto 2023